Antonia Pozzi

Antonia Pozzi (Milano, 13 febbraio 1912 – Milano, 3 Dicembre 1938) è stata una giovane poetessa milanese, vissuta nei primi trent’anni del ‘900. La sua vita breve e intensissima si conclude a soli ventisei anni, una sera del dicembre del 1938 infatti si toglie la vita mediante uno smodato uso di barbiturici, abbandonandosi nel prato antistante l’abbazia di Chiaravalle, a Milano. 

“Giungere qui/ -tu lo vedi- / dopo un qualunque dolore / è veramente / tornare al nido, trovare / le ginocchia materne / appoggiarvi la fronte- “. Pensare di essere sepolta qui non è nemmeno morire, è tornare alle proprie radici.

Antonia è una donna fragile e allo stesso tempo dotata di una forte vitalità, sensibile, ipersensibile rispetto a tutto ciò che la circonda, profondamente autocratica e auto-giudicante, caratteristica che la porta spesso a nutrire dentro di se un senso di colpa difficile da sopportare.

Nell’affrontare il progetto, abbiamo iniziato col conoscere la vita della poetessa, il suo privato, per poter capire ed interpretare le sue tantissime poesie. Antonia scrive di se e delle sue emozioni, la sua poesia è profondamente intimistica, si capisce l’importanza che doveva assumere quest’ultima nella vita della donna, ne è infatti per lo più lo sfogo emotivo, oltre che semplice diletto. Antonia usa la poesia per dire quello che pensa in una sorta di monologo interiore che ricorre a metafore visive e di carattere naturalistico per lo più, per comunicare col mondo, ma, sembra, quasi di più con se stessa.

La natura è il tramite tra lei e la verità di se nel mondo, la sua origine, le sue radici, la natura talvolta in momenti bui sembra in grado di donarle un pò di sollievo.

Conoscendola abbiamo sommariamente individuato due momenti particolari che si intrecciano fra loro, si susseguono in un “loop”, in una forza centrifuga che poi la porterà alla morte, verso il basso, verso il terreno, in cerca di pace, per fuggire dal caos.

La Gioia: l’amore assoluto di e per un uomo sembra essere il solo e vero collante tra lei e la, anche se momentanea, serenità. un amore totalizzante, spirituale, descritto quasi come qualcosa di divino, una passione vibrante che la riporta a contatto con se stessa ed il proprio corpo. ” (…) all’anima sembrava di vibrare nuda nel vento e di sfiorare Dio”… L’uomo diventa il porto sicuro a cui lei si dona completamente. Antonia si immagina sposa, bambina e mamma, tutto insieme.

L’incertezza, lo smarrimento: quando l’uomo non le permette di donarsi come vorrebbe e l’amore finisce, Antonia si sente d’improvviso completamente persa, perde il contatto con se stessa e con il suo essere donna, ogni luce si spegne, le poesie cominciano ad assumere un tono nostalgico e tormentato, colmo di rimpianto e senso di colpa. “Noi per seguir la danza / di un vecchio organo / correremo nel vento gli stradali…”,”A cuore scalzo/ e on laceri pesi / di gioia”.

L’installazione contiene questi due momenti in uno spazio intimo e concluso a pianta centrale, quasi a simulare le pareti del cuore della poetessa, facile entrare non è: occorre chinarsi e strisciare o salire un gradino per accedere attraverso una maglia di fili neri.

Tramite un corridoio, intervallato da tendine trasparenti da dover scostare, si accede all’ultima stanza trapezoidale. qui la morte e pace convivono insieme, non vi è più suono, più cinguettii, più  caos, ma calma eterna. lo spettatore non sa se rabbrividire al pensiero della morte, o gioire per il tormento finito.

L’intento progettuale delle immagini non è didascalico, ma tenta di evocare delle sensazioni per coinvolgere e far comprendere meglio la Pozzi dal pubblico, il quale può terminare o continuare la mostra in un secondo e più ampio spazio intorno all’ installazione, dove i pannelli mostrano documenti di archivio, poesie e informazioni in generale sulla poetessa.